4/3/2025
7 min

L’illusione del raggruppamento: perché vediamo schemi dove non ci sono

L’illusione del raggruppamento: perché vediamo schemi dove non ci sono

Il cervello non sopporta il caso

Siamo programmati per cercare ordine.

Nel rumore, vogliamo trovare ritmo.

Nell’incertezza, vogliamo riconoscere un pattern.

È un istinto antico, che ci ha aiutato a sopravvivere — ma che oggi può portarci fuori strada, soprattutto quando interpretiamo dati, comportamenti o fenomeni complessi.

La Clustering Illusion (o illusione del raggruppamento) è un bias cognitivo che ci porta a percepire schemi in insiemi di dati completamente casuali. Vediamo connessioni, ricorrenze, tendenze… anche quando non esistono.

È la stessa illusione che ci fa credere che “se è uscito il 12 alla roulette tre volte, allora il 7 è in ritardo”. O che una serie di clienti simili stia indicando una “nuova tendenza” di mercato. O che un contenuto performante su tre significhi che “hai trovato la formula”.

Una mente statisticamente… emotiva

Il problema non è solo la mancanza di spirito critico.

È che il nostro cervello non ragiona in termini di probabilità, ma di narrazione. Vuole una storia da raccontare, e se non c’è, la crea.

Daniel Kahneman e Amos Tversky, nei loro lavori fondativi sull’euristica della rappresentatività, hanno mostrato che giudichiamo la probabilità di un evento non in base alla statistica, ma in base a quanto ci sembra coerente con un pattern mentale preesistente. Se tre eventi sembrano simili, ci convinciamo che stiano formando una regola. Anche se sono solo una coincidenza.

La Clustering Illusion è proprio questo: una scorciatoia cognitiva per sottrarre casualità all’incertezza. E nel marketing, può costarci caro.

L’impatto sul marketing: quando “sembra funzionare” non basta

La Clustering Illusion colpisce duramente le analisi qualitative. È quel meccanismo che ci spinge a prendere tre feedback simili e considerarli una tendenza. Oppure a trarre conclusioni da piccoli campioni (“i contenuti lunghi non funzionano, guarda i commenti”). O ancora a identificare schemi di comportamento da dati troppo limitati.

Questo bias è particolarmente insidioso nei team piccoli, nelle fasi iniziali di un progetto, o quando si lavora sotto pressione e si ha bisogno di “leggere segnali” dove magari c’è solo rumore.

Un errore tipico: l’analisi post-campagna basata su dati emotivamente salienti (“questa grafica ha preso molti like, quella no: dobbiamo cambiare stile”), ma senza abbastanza dati a supporto.

Perché è difficile da riconoscere?

Perché si maschera da intuizione.

E nel nostro settore, l’intuizione ha una narrativa seducente.

Ma c’è una differenza enorme tra una strategia supportata da insight e una scommessa vestita da pattern.

Inoltre, la Clustering Illusion viene spesso rafforzata dal confirmation bias: vediamo un’apparente ricorrenza, vogliamo che sia vera, e quindi iniziamo a cercare solo segnali che la confermino.

Un ciclo autoreferenziale difficile da interrompere — soprattutto se ci manca il tempo (o l’abitudine) di mettere in discussione le prime impressioni.

Clustering Illusion nella vita reale: 5 contesti da conoscere

1. Giochi d’azzardo: quando “la prossima è quella giusta”

Uno dei contesti più evidenti in cui si manifesta l’illusione del raggruppamento è il gioco d’azzardo.

I giocatori spesso credono che una slot machine che “non paga da un po’” sia ormai pronta a farlo, o che una sequenza di numeri rossi alla roulette aumenti la probabilità che il prossimo sia nero. In realtà, ogni giocata è statisticamente indipendente dalle precedenti.

Ayton e Fischer (2004) hanno dimostrato come i giocatori, anche esperti, tendano a cercare pattern all’interno di sequenze casuali, proiettando significato dove non c’è. Questo meccanismo è così radicato da alimentare vere e proprie “strategie” di gioco… costruite sull’illusione.

2. Mercati finanziari: vedere tendenze nel rumore

Nel mondo degli investimenti, la Clustering Illusion si manifesta quando gli analisti o i trader vedono trend dove ci sono solo fluttuazioni casuali. Una serie di rialzi porta molti a credere che “il mercato è in crescita” anche se non esiste alcun segnale strutturale. Al contrario, in caso di crollo, scatta il panico e si vende impulsivamente.

È esattamente ciò che Fama (1970) cercò di smontare con la sua Teoria dei Mercati Efficienti, sostenendo che i movimenti di mercato sono, nella maggior parte dei casi, imprevedibili e casuali. Ma la mente umana, in cerca di controllo, continua a credere nelle sue letture soggettive dei grafici.

3. Marketing e pubblicità: tutti ne parlano (o così sembra)

Nel lancio di nuovi prodotti, le aziende spesso utilizzano strategie ripetitive su canali diversi, per generare una percezione di ubiquità. Il consumatore, esposto più volte allo stesso messaggio, comincia a pensare che “tutti ne parlino”. Ma è un’illusione creata dalla ripetizione e dalla presenza multi-touchpoint.

La ricerca Nielsen (2020) conferma che la familiarità costruita attraverso l’esposizione ripetuta aumenta la fiducia nei confronti del brand. È efficace, sì — ma anche un esempio perfetto di come possiamo manipolare (in positivo o in negativo) la percezione di un fenomeno attraverso la ripetizione.

4. Videogiochi e loot box: inseguire la “fortuna”

Nel mondo del gaming, soprattutto nei giochi con sistemi gacha o loot box, molti giocatori credono che, dopo una serie di risultati negativi, le probabilità di ottenere una ricompensa rara aumentino.

Ma spesso le probabilità rimangono fisse.

King e Delfabbro (2019) hanno studiato come questa dinamica alteri la percezione statistica dei giocatori, che continuano a spendere tempo (e denaro) convinti che “stavolta uscirà”. In realtà, si tratta di una proiezione psicologica costruita sull’illusione che l’evento raro sia “in arrivo” solo perché non è ancora successo.

5. Teorie del complotto: quando tutto sembra connesso

L’illusione del raggruppamento è anche alla base di molte teorie del complotto.

Davanti a eventi complessi o traumatici, il nostro cervello tende a collegare elementi tra loro scollegati, costruendo una narrazione che dia senso e coerenza al caos.

Attentati terroristici, pandemie, disastri naturali: chi crede nelle teorie complottiste spesso collega questi eventi in una trama nascosta, in cui nulla è casuale. Brotherton et al. (2013) hanno evidenziato come i soggetti più inclini al pensiero complottista abbiano una tendenza marcata a percepire pattern significativi anche in sequenze totalmente casuali.

Attenzione alle false associazioni

L’illusione del raggruppamento viene spesso confusa con altri fenomeni cognitivi, tra cui:

  • Pareidolia: vedere volti o forme familiari in oggetti inanimati (es. nuvole o il “volto su Marte”).
  • Fallacia della mano calda: credere che una sequenza positiva continuerà inevitabilmente (es. un giocatore di basket che segna più volte di fila).
  • Apofenia: trovare significati in dati casuali senza una base logica o statistica.

Conclusione: i veri schemi sono quelli che resistono alla verifica

Nel caos, il nostro cervello cerca sicurezza.

E i pattern — anche quelli inventati — ci danno l’illusione del controllo.

Ma chi lavora con dati, insight e strategie non può permettersi di aggrapparsi alle illusioni.

Deve costruire certezze progressivamente, con metodo, lentezza e spirito critico.

Perché a volte, “non sta succedendo niente” è un’informazione più preziosa di mille micro-pattern.

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