29/5/2024
6 min

All Eyes on Rafah: tra attivismo virale e vera azione sociale

All Eyes on Rafah: tra attivismo virale e vera azione sociale

Un’immagine virale, 33 milioni di condivisioni. Ma cosa resta?

Negli ultimi giorni, il trend “All Eyes on Rafah” ha invaso i feed social di milioni di persone.

Un’immagine simbolica, condivisa più di 33 milioni di volte, ha riportato l’attenzione su una crisi umanitaria ignorata per troppo tempo.

India Today

Ma l’impatto di questa visibilità è reale? Oppure siamo davanti all’ennesimo caso di attivismo da vetrina?

Per capire cosa succede davvero, dobbiamo guardare oltre l’emozione del momento e analizzare i meccanismi psicologici e sociali che spingono le persone a partecipare a una causa — o a farlo solo per sentirsi nel posto giusto, al momento giusto.

Il Bandwagon Effect: quando “esserci” conta più di capire

Alla base di molti fenomeni virali c’è il cosiddetto Bandwagon Effect: la tendenza a unirsi a un’idea o a un’azione semplicemente perché “tutti lo stanno facendo”.

Questo effetto è amplificato dai social, dove ogni like, ricondivisione o adesione pubblica contribuisce a costruire un senso di normalità attorno a un gesto.

Secondo Jonah Berger,  autore di Contagious, le persone tendono a condividere contenuti che migliorano la propria immagine sociale: che le fanno apparire informate, etiche, coinvolte. In altre parole: si attivano anche per valuta sociale, più che per reale consapevolezza.

Il problema è che, in questo passaggio, contenuti complessi rischiano di essere semplificati in simboli, slogan o formule emotive che funzionano bene nel feed, ma non generano un’azione profonda o duratura.

La valuta sociale può incentivare comportamenti reali?

Sì, ma non sempre.

Uno studio pubblicato su NCBI evidenzia che la valuta sociale percepita può incentivare comportamenti prosociali, come la donazione, il supporto attivo o la condivisione di risorse, anche in assenza di vantaggi personali immediati.

Questo avviene soprattutto quando:

  • l’individuo si identifica con un gruppo o una causa
  • percepisce un senso di autostima collettiva
  • sente che il proprio gesto ha un impatto, anche simbolico

In questi casi, il desiderio di mantenere una coerenza con l’identità pubblica spinge a comportamenti coerenti anche offline.

La valuta sociale, insomma, può trasformarsi in leva di cambiamento reale — ma solo se trova spazio in un contesto relazionale e informativo adeguato.

Il ruolo del network e della prossimità emotiva

La rete sociale in cui siamo immersi ha un’influenza enorme su ciò che scegliamo di fare, condividere o ignorare.

Un network eterogeneo espone a una maggiore varietà di bisogni, stimoli e prospettive. E più un ambiente sociale valorizza l’azione concreta, più gli individui si sentono autorizzati — o incoraggiati — ad agire davvero.

Tuttavia, per trasformare un’adesione simbolica in un gesto concreto serve qualcosa di più: prossimità emotiva, conoscenza della causa e coinvolgimento personale.

Quando l’impegno resta confinato alla forma — un’immagine, una story, una didascalia indignata — rischia di essere solo una gratificazione momentanea.

È quando l’attenzione diventa intenzione, e poi azione, che possiamo parlare davvero di impatto.

Da trend a leva sociale: la sfida del tempo

“All Eyes on Rafah” rappresenta un caso emblematico: da un lato dimostra quanto un simbolo possa veicolare attenzione su una crisi ignorata; dall’altro ci ricorda quanto sia fragile questa attenzione, se non viene nutrita da contenuti, strumenti, dialogo.

Il vero valore della valuta sociale non sta nella condivisione in sé, ma nella sua trasformazione in comportamento.

Donazioni, petizioni, campagne educative, azioni di pressione istituzionale: sono questi i passaggi che separano l’attivismo di superficie da quello trasformativo.

E qui la sfida è una sola: mantenere vivo il coinvolgimento, senza farlo svanire nel prossimo scroll.

Conclusione: non è sbagliato condividere. Ma non basta

Non è sbagliato condividere un’immagine.

Non è superficiale voler dimostrare che ci siamo, che vediamo.

Lo diventa quando ci fermiamo lì.

Perché oggi, più che mai, la distanza tra “essere presenti” e “fare la differenza” si misura in azioni — non in visualizzazioni.

La domanda vera è: Quello che stiamo condividendo serve davvero a qualcuno… o solo a noi stessi?

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